A teatro al Rossetti: Il tormento e l’estasi di Steve Jobs

Vi segnaliamo al teatro Rossetti di Trieste “Il tormento e l’estasi di Steve Jobs”: è il debutto assoluto in Italia dell’opera  di Mike Daisey sulla storia della Apple che ha avuto vasta eco sulla stampa di tutto il mondo.

Il monologo teatrale, efficacemente  interpretato da Fulvio Falzarano, ripercorre la storia del genio creativo di Steve Jobs: dagli inizi nell’ormai mitico garage fino all’iPhone, spunto per la riflessione dell’autore sulle condizioni di vita e di lavoro nelle fabbriche di proprietà cinese dove vengono assemblati i prodotti.

Lo spettacolo ci è piaciuto molto: il testo di Daysei, seppur con qualche leggera sbavatura storica, affronta il difficile tema del “lato oscuro” delle condizioni dei lavoratori senza cadere negli eccessi di una banale visione ideologica del problema che  semplicisticamente (e soprattuto strumentalmente), individua nelle multinazionali la causa prima dei mali del mondo odierno.

Da vedere!

Mike Daisey “Il tormento e l’estasi di Steve Jobs” – traduzione e adattamento di E. Luttmann, regia di G.Solari – Produzione Testro Stabile del Friuli Venezia Giulia.

Politeama Rossetti – Sala Bartoli dal 5 al 24 febbraio 2013

Un commento su “A teatro al Rossetti: Il tormento e l’estasi di Steve Jobs”

  1. Dal Messaggero Veneto di oggi: TRIESTE Grande prova d’attore per Fulvio Falzarano e un solido testo d’inchiesta giornalistica, quello di Mike Daisey. Interessantissimo da leggere, Il tormento e l’estasi di Steve Jobs, magnetico vederlo poi declinato nel linguaggio teatrale da Giampiero Solari, nuova produzione dello Stabile regionale. Un’ora e mezzo alla Bartoli, repliche fino al 24, scandita dall’espressività dell’attore triestino, mentre soppesa le parole a una a una. Parole tragiche. Ironiche. Divertenti. Tradotte bene da Enrico Luttmann. Gli occhi di Falzarano commentano lo Stige che separa la nostra vita, allietata dagli ammennicoli Apple, dal mondo infernale della Foxconn dove si produce il 50 per cento di tutti gli apparecchi elettronici del mondo. Daisey è un fan di Steve Jobs, è un techno-dipendente. Non ha scritto un’apologia del genio. Ha catturato luci e ombre. Dagli esordi con Steve Wozniak fino all’impero «tirannico» di Cupertino passando per il sistema produttivo delocalizzato in Cina. A Shenzhen, 14 milioni di abitanti, c’è la Foxconn con i suoi 430 mila operai che assemblano a mano MacBook Pro, iPhone, iPad e via dicendo. Un’azienda in cui i lavoratori si suicidano perché arrivano alla conclusione «che quella è la migliore opzione». Nell’incipit di questa storia, Falzarano, occhi dardeggianti, volto illuminato, sembra il santo inquisitore. Racconta di quel miserabile alveare che sono le Chungking Mansions, dove un uomo manomette la baseband dei telefonini, installando virus su misura per aggirare i blocchi dei cellulari. Luce. Sprofondato in una poltrona, camicia hawaiana l’attore fa Daisey, dipanando la storia in un gomitolo forse di speranza. Il testo è stato sforbiciato – peccato per la scena dell’incontro con Wozniak – a vantaggio anche dell’attualità. Infatti proprio qualche giorno fa il Corriere ha pubblicato un articolo che Falzarano legge, Cina, svolta alla Foxconn: nasce il primo sindacato vero. Qualcosa si muove. E per noi? Al nostro hardware è stato rimosso il blocco? Think different, lampeggia sullo schermo. Erica Culiat

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